Éric Fassin
Mediapart
29/06/2018

«Hello, dictator!» Con queste parole bonarie, il 22 maggio 2015, il presidente della Commissione europea accoglieva il Primo ministro ungherese al summit di Riga. Qualche mese prima, il senatore John McCain qualificando Viktor Orbàn di «dittatore neofascista» aveva provocato un incidente diplomatico. Ma Jean-Claude Juncker aveva ripreso quelle parole con fare birichino e lo interpellava con un buffetto affettuoso sulla guancia. Il contrasto con i diktat imposti in quello stesso momento alla Grecia dall’Eurogruppo era sorprendente: l’atmosfera era tutt’altro che scherzosa. Per Wolfgang Schaüble, ministro delle finanze tedesco, gli Stati hanno degli impegni, e «nuove elezioni non cambiano di certo la situazione». In Europa, non si scherza con il neoliberismo: l’economia è una cosa troppo grave per affidarla ai popoli. Sulla democrazia, invece, si può ridere e scherzare. La farsa a cui si è assistito in Lettonia ne ricorda un’altra. Ne Il grande dittatore di Chaplin, Mussolini saluta Hitler con una spinta: «mio fratello dittatore!»».

Come leggere insieme l’ascesa delle estreme destre e la deriva autoritaria del neoliberismo? Da un lato, c’è il suprematismo bianco, con l’elezione di Donald Trump, e, in Europa, la xenofobia di un Orbàn o di un Salvini; dall’altro, ciò che potremmo chiamare dei colpi di Stato democratici: non c’è bisogno di mandare l’esercito contro la Grecia («banche, non carri armati»), e nemmeno in Brasile (voto parlamentare e non golpe militare). Le libertà pubbliche diminuiscono in entrambi i casi. Di fatto, i due fenomeni non hanno nulla di incompatibile. L’Europa ha lasciato che l’estrema destra si accomodasse al potere: nel 2000, l’Austria di Jorg Haider veniva sanzionata; nel 2018, quest’ultima ne assumeva la presidenza con Sebastian Kurz.

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