Riflessioni, Massimo Prearo

Riflessione
22 ottobre 2020

Che parole come “rivoluzione”, “cambiamento” o “svolta” possano essere attribuite a un’istituzione religiosa come la Chiesa cattolica o alle parole di un Papa, la dice lunga, a mio avviso, sulla difficoltà di collocare su una prospettiva di lungo periodo la politologia delle questioni di genere, sessualità e famiglia, in particolar modo in Italia dove si continua a credere che le decisioni politiche in queste materie siano dettate dalle cabine di regia del Vaticano.
Le posizioni espresse da Papa Francesco sulle unioni civili non fanno che riaffermare una modalità per la Chiesa e per i cattolici di stare in questo mondo secolarizzato, in cui le decisioni lasciano ormai la religione e i richiami dottrinari sullo sfondo e in secondo piano, utili solo, se proprio serve, come argomenti o espedienti retorici, da aprire solo in caso di necessità.
Ovvero una modalità di affannosa, faticosa, e spesso ridicola rincorsa (l’ultima dichiarazione è del 2019, il primo riconoscimento del matrimonio per le coppie omosessuali risale al 2001 in Olanda…) a riposizionare la Chiesa nel mondo, non per influenzare decisioni politiche (è un po’ tardi…) ma per salvare il salvabile di una base cattolica secolarizzata per i cui i precetti religiosi non sono più sullo stesso piano delle leggi dello stato, per cui i principi democratici di giustizia, libertà e uguaglianza (o una certa versione restrittiva di essi) non possono essere sacrificati sull’altare dei “principi non negoziabili”.
Nel 2016 durante i dibattiti sulle unioni civili chi, a destra, si opponeva alla proposta di legge lo faceva spesso usando argomenti “scientifici” e “antropologici” e non religiosi. Al contrario, chi, nell’area del centro-sinistra, sosteneva quella proposta, lo faceva spesso appoggiandosi all’argomento religioso e richiamandosi proprio alla figura di Papa Francesco.
Un ricordo più lontano. Nel 2005 durante il referendum per l’abrogazione della legge 40 sulla fecondazione assistita, il Vaticano e la CEI (sotto la direzione di Ruini) si batterono per il mantenimento di quella legge, al punto che per alcuni quella fu una “legge cattolica”, che accettava la fecondazione omologa (all’interno della coppia) e vietava la fecondazione eterologa (al di fuori della coppia).
Lo stesso discorso vale per le prime proposte di legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) che trovavano un certo appoggio episcopale, giustificato dallo stesso spirito maleminorista. Meglio porre un limite finché è possibile che lasciare la possibilità che tribunali, corti o nuove maggioranze politiche aprano ancora di più la breccia arrivando fino all’eutanasia.
E non dimentichiamo il discorso “francescano” sulla pastorale dell’aborto che condanna l’abominevole peccato ma tende la mano alla misera peccatrice.
Diverso è il discorso del nuovo movimentismo cattolico prolife-antigender-profamily che si nutre di dottrina intransigente e di leggi “naturali” scritte direttamente da Dio sulla pelle degli uomini e soprattutto, si direbbe, delle donne, e che non può dunque accettare tali “aperture”.
Ma a guardar bene da vicino, la secolarizzazione ha colpito anche questa base movimentista che si muove ormai indipendentemente dalle dichiarazioni di Papa Francesco, dalle posizioni della CEI o dalle fila del vescovo-burattinaio di turno. Anche qui, se serve, ben venga la retorica religiosa per sostenere un argomento o uno slogan, altrimenti si andrà avanti da soli, o ben accompagnati, con Meloni, Salvini, Gasparri, Binetti, Rauti, Malan, Pillon e compagnia bella (vedi foto sotto del sorridente Gandolfini durante la manifestazione del 17 ottobre contro il #ddlZan postata da Gasparri), sulla strada di quello che il senatore Quagliarello chiama il “cattolicesimo antropologico”.
Anzi, si andrà avanti meglio con loro, perché loro sì che sono nella cabina di regia in Parlamento, perché loro sì hanno la possibilità di manovrare la penna del legislatore per fargli scrivere una legge che preveda il riconoscimento dell’unione tra due persone dello stesso sesso ma non i legami genitoriali con i figli di quella coppia.
Questo posizionamento extra-ecclesiastico, extra-cattolico e intra-politico è quello che ho definito “neocattolico”, perché porta avanti una politica di movimento nuova rispetto al movimentismo cattolico “tradizionale”.
L’ipotesi neocattolica è il dito che punta la luna, indicandola, ma anche additandola.
Quella luna è la Chiesa, il Papa, il Vaticano, la religione cattolica.
Allora discutiamo delle dichiarazioni lunari del pontefice, ma non dimentichiamoci del dito puntato del movimentismo neocattolico perché è quello che oggi si muove nelle stanze delle istituzioni mentre il Papa sorride ai giornalisti.
To be continued…
(A breve in libreria!)